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domenica 13 maggio 2012

Io sono colui che io amo


Io sono colui che io amo, e colui che io amo sono io. Siamo due spiriti che abitano un solo corpo: se tu vedi me, vedi lui, e se tu vedi lui, ci vedi entrambi.

(al-Hallaj)

giovedì 5 aprile 2012

Coloro che raggiungono l'obiettivo


Un giorno Isa vide un gruppetto di persone dall'aspetto infelice sedute su un muretto sul ciglio della strada.
"Che cos'è che vi affligge?", chiese loro.
"È la paura dell'inferno che ci ha messo in questo stato", risposero.
Egli proseguì per la sua strada e ben presto incontrò un altro gruppo di persone dall'aria sconsolata, ognuna delle quali era ripiegata nella propria tristezza. "Che cos'è che vi affligge?", chiese loro. "È il desiderio del paradiso che ci ha resi così", risposero.
Egli proseguì il suo cammino finché passò davanti a un terzo gruppo di persone che sembravano aver sofferto molto, ma i cui volti splendevano di gioia.
Isa chiese loro: "Qual è il motivo del vostro stato?".
Risposero: "Lo spirito di Verità. Abbiamo visto la Realtà e questo ci ha resi dimentichi degli obiettivi inferiori".
Allora Isa disse: "Sono queste le persone che raggiungono l'obiettivo. Nel Giorno del Giudizio, saranno loro che si troveranno in presenza di Dio".


(Al-Ghazzali)

lunedì 12 dicembre 2011

L'uccello indiano


Un mercante teneva un uccello in gabbia. Dovendo recarsi in India, paese originario dell'uccello, gli chiese se desiderava che gli riportasse qualcosa da quel paese. L'uccello chiese di ottenere la sua libertà, ma il mercante gliela negò. Allora lo pregò di recarsi in una certa giungla dell'India e di annunciare la sua cattività a tutti gli uccelli che vivevano in libertà.
È ciò che fece il mercante, ma aveva appena finito di parlare quando un uccello selvatico, simile in tutto al suo, cadde esangue ai piedi del ramo sul quale era appollaiato.
Il mercante pensò allora che doveva sicuramente trattarsi di un parente prossimo dell'uccello in gabbia, e fu addolorato di aver causato la sua morte.
Quando fu di ritorno, l'uccello gli chiese se portava buone notizie dall'India.
"Ahimè, no", disse il mercante, "temo che le notizie siano brutte! Uno dei tuoi parenti prossimi è stramazzato ai miei piedi quando ho parlato della tua cattività".
Aveva appena pronunciato queste parole, quando l'uccello indiano stramazzò a sua volta nella gabbia. "La notizia della morte del suo parente ha ucciso anche lui", pensò il mercante. Era desolato; lo raccolse e andò a poggiarlo sul davanzale della finestra. All'istante, l'uccello tornò in vita e volò sul ramo più vicino.
"Ora sai", disse l'uccello al mercante, "che ciò che per te era una calamità, per me era una buona notizia. E nota come il messaggio, cioè come comportarmi per riacquistare la mia libertà, mi è stato trasmesso proprio da te, mio carceriere". E volò via, finalmente libero.

(Jalal al-Din Rumi)

domenica 6 novembre 2011

Il giuramento


Un giorno, un uomo che aveva delle preoccupazioni giurò di vendere la sua casa e di darne il ricavato ai poveri, se i suoi problemi avessero trovato una soluzione.
Quando arrivò il momento di adempiere al giuramento, non riuscì ad arrendersi all'idea di disfarsi di una somma così importante. Escogitò quindi una scappatoia.
Mise la casa in vendita per una moneta d'argento. Poiché la casa comprendeva un gatto, fissò il prezzo dell'animale in diecimila monete d'argento.
Qualcuno comprò la casa e il gatto. Il nostro uomo diede una moneta ai poveri e intascò le altre diecimila.
Sono molti quelli che ragionano in questo modo. Decidono di seguire un insegnamento, ma interpretano il loro rapporto con esso a proprio vantaggio. Finché non avranno superato questa tendenza con un allenamento particolare, non potranno imparare nulla.

(Nasir El-Din Shah)

giovedì 6 ottobre 2011

Morire prima di morire


C'era una volta a Buchara un uomo ricco e generoso. Poiché occupava un rango molto alto nella gerarchia invisibile, era conosciuto con il nome di 'presidente del mondo'. Tuttavia, egli poneva una condizione alla sua liberalità. Ogni giorno dava dell'oro a una categoria di persone - i malati, le vedove, ecc. - ma nulla doveva essere dato a chiunque aprisse la bocca per parlare.
Non tutti erano in grado di mantenere il silenzio.
Un giorno arrivò il turno dei giuristi di ricevere la loro parte. Uno di loro non poté trattenersi e fece appello alla generosità del donatore con una lunga arringa. Non ricevette nulla.
Ciò non bastò a scoraggiarlo e il giorno seguente, che era destinato all'assistenza degli invalidi, si unì a loro fingendo di essersi fratturato gli arti.
Il presidente, tuttavia, lo riconobbe e non gli diede nulla. Il giorno seguente, il giurista si coprì il volto, cambiò aspetto un'altra volta e si intrufolò in un'altra categoria. Di nuovo, fu riconosciuto e scacciato. Egli provò ancora e ancora, travestendosi persino da donna, ma invano.
Alla fine, il giurista andò a trovare un becchino al quale chiese di avvolgerlo in un sudario: "Quando il presidente passerà, crederà probabilmente che si tratti di un cadavere. Potrebbe dare del denaro per il mio funerale e io lo dividerò con tè".
E così fece. E quando il presidente lasciò cadere sul sudario una moneta d'oro, l'uomo l'afferrò al volo per paura che il becchino se ne appropriasse; poi disse al benefattore: "Mi hai negato la tua generosità, ma guarda come sono riuscito a ottenerla!".
"Non potrai avere nulla da me", rispose l'uomo generoso, "finché non sarai morto. È questo il senso della frase enigmatica: 'L'uomo deve morire, prima di morire'. Il dono viene dopo la 'morte', non prima. E anche questa 'morte' è impossibile senza aiuto".

(Jalal al-Din Rumi)

domenica 18 settembre 2011

Il pavone e il serpente


Un giorno, un giovane di nome Adi il Calcolatore - perché aveva studiato matematica - decise di lasciare Buchara e di partire alla ricerca della conoscenza superiore. Il suo maestro gli consigliò di viaggiare verso sud e disse: "Cerca il significato del Pavone e del Serpente". Ciò diede al giovane Adi materia di riflessione.
Egli attraversò il Khorassan e arrivò finalmente in Iraq, dove, con sua grande sorpresa, si imbattè in un pavone e in un serpente. Adi intavolò una conversazione. "Stiamo discutendo dei nostri rispettivi meriti", gli dissero. "È precisamente ciò che vorrei studiare", disse Adi. "Continuate, vi prego".
"Ritengo di essere il più importante", disse il pavone. "Rappresento l'aspirazione, lo slancio verso il cielo, la bellezza celestiale e, quindi, la conoscenza delle realtà superiori. La mia missione è di ricordare all'uomo, attraverso la mimica, gli aspetti del suo essere che gli sono celati".
"Per quanto mi riguarda", disse il serpente con voce leggermente sibilante, "rappresento esattamente le stesse cose. Come l'uomo, sono legato alla terra. Lo aiuto quindi a ricordarsi di se stesso. Sono flessibile come lui quando avanzo sul terreno serpeggiando. Egli si dimentica spesso anche di questo. Per tradizione, sono il guardiano dei tesori sepolti nel più profondo della terra".
"Ma sei repellente!", esclamò il pavone. "Sei sornione, dissimulatore e pericoloso".
"Stai elencando le mie caratteristiche umane", replicò il serpente, "mentre io preferisco elencare le mie altre funzioni, come ho appena fatto. Insomma! guardati: sei vanitoso, paffuto, e il tuo grido è stridulo. Le tue zampe sono troppo grandi e anche le tue piume sono troppo sviluppate".
A questo punto Adi li interruppe. "Grazie alla vostra discordia, ho potuto capire che nessuno di voi ha completamente ragione. Eppure, se si escludono le vostre preoccupazioni personali, appare chiaro che insieme costituite un messaggio per l'umanità".
Adi spiegò quindi ai due antagonisti quali erano le loro funzioni.
"L'uomo striscia al suolo come il serpente e potrebbe innalzarsi nel cielo come l'uccello, ma, avido come il serpente, non rinuncia al suo egoismo quando cerca di elevarsi e diventa troppo orgoglioso come il pavone. Nel pavone possiamo scorgere le potenzialità dell'uomo, ma non ancora propriamente realizzate, mentre nella lucentezza del serpente possiamo scorgere la possibilità della bellezza che, nel pavone, assume un aspetto sgargiante".
Fu allora che una Voce ulteriore parlò ad Adi: "Non è tutto. Queste due creature sono dotate di vita: è il loro fattore determinante. Litigano perché ognuna si è accontentata del proprio modo di vita, pensando che costituisse la realizzazione di uno status reale. Tuttavia, una custodisce dei tesori, ma non può attingervi. L'altra riflette la bellezza, che in se stessa è un tesoro, ma non può servirsene per trasformarsi. Benché non abbiano approfittato di ciò che è stato loro offerto, ne sono pur sempre un simbolo, per coloro che sanno vedere e sentire".

mercoledì 7 settembre 2011

Il cane, il bastone e il Sufi


Un uomo vestito da Sufi stava un giorno camminando per la strada quando, trovatesi di fronte a un cane, lo colpì duramente col suo bastone. Guaendo di dolore, il cane corse dal grande saggio Abu-Said.
Si gettò ai suoi piedi e, mostrandogli la zampa ferita, chiese giustizia per il crudele trattamento che il Sufi gli aveva riservato. Il saggio li fece comparire insieme. "Che sventato!", disse al Sufi. "Come hai potuto trattare così una povera bestia? Guarda che hai fatto!".
"Non è colpa mia", si difese il Sufi, "è tutta colpa del cane. Non l'ho colpito per capriccio, ma perché aveva sporcato il mio vestito".
Il cane, tuttavia, persistette nella sua denuncia. Allora l'incomparabile saggio si rivolse al cane: "Anziché aspettare il compenso finale, permettimi di compensare la tua pena".
Il cane rispose: "Oh, grande saggio! Vedendo un uomo che indossava la veste sufi, ho concluso ovviamente che non potesse farmi alcun male. Se avesse indossato abiti ordinari, l'avrei sicuramente evitato. Il mio vero errore è stato di supporre di potermi fidare dell'aspetto esteriore di un uomo di verità. Se volete che egli venga punito, toglietegli il vestito degli eletti, privatelo del manto dei giusti...".
Il cane stesso occupava un certo rango sulla Via. È sbagliato credere che ogni uomo debba essere, necessariamente migliore di un cane.

(Hakim Sanai)

venerdì 26 agosto 2011

Tre consigli


Un giorno un uomo catturò un uccello. L'uccello gli disse: "Non posso esserti utile finché sono prigioniero. Liberami e ti darò tre preziosi consigli".
L'uccello promise di dare il primo consiglio ancora nelle mani dell'uomo, il secondo quando avrebbe raggiunto il ramo di un albero e il terzo una volta raggiunta la cima di una montagna. L'uomo accettò e sollecitò il primo consiglio.
"Se perdi qualcosa", disse l'uccello, "anche se ci tieni quanto la tua vita, non rimpiangerlo".
L'uomo lasciò la presa e l'uccello andò ad appollaiarsi su un ramo.
"Non credere mai a cose contrarie al buonsenso senza chiedere prove", elargì come secondo consiglio.
Poi l'uccello volò in cima alla montagna, dalla quale dichiarò: "Oh, sventurato! Il mio corpo racchiude due enormi gioielli. Se solo mi avessi ucciso, ora sarebbero tuoi!".
L'uomo si tormentò al pensiero di ciò che aveva appena perso e chiese all'uccello: "Dammi almeno il terzo consiglio!".
"Sei proprio un idiota!", rispose l'uccello. "Sei ancora qui a chiedermi altri consigli, quando non ti sei nemmeno soffermato per un attimo sui primi due! Ti ho detto di non tormentarti per la perdita di qualcosa e di non prestare fede a cose contrarie al buonsenso. Ed è proprio ciò che stai facendo in questo momento! Ti stai lasciando andare a credere in ridicole assurdità e ti stai tormentando perché hai perso qualcosa! Non vedi che non sono abbastanza grande da contenere due enormi gioielli? Sei uno stupido! Pertanto, continuerai a essere prigioniero degli abituali limiti imposti a ogni uomo".

(Jalal al-Din Rumi)

domenica 14 agosto 2011

Il cavaliere e il serpente


C'è un proverbio che dice: "l'opposizione dell'uomo di conoscenza è preferibile all'approvazione dell'imbecille".
Io, Salim Abdali, attesto che ciò è vero tanto nelle sfere superiori quanto in quelle dei livelli inferiori dell'esistenza. Questa verità è evidenziata nella tradizione dei saggi, che hanno trasmesso il racconto del cavaliere e del serpente.
Un cavaliere vide dall'alto del suo cavallo un serpente velenoso infilarsi nella gola di un uomo addormentato, e si rese conto che se quell'uomo avesse continuato a dormire, il veleno lo avrebbe sicuramente ucciso.
Di conseguenza prese a frustare il dormiente finché non si svegliò. Non avendo tempo da perdere lo trascinò a forza sotto un albero, ai piedi del quale c'erano delle mele marce; lo costrinse a mangiarle, poi lo obbligò a bere lunghi sorsi di acqua del ruscello.
Mentre cercava continuamente di divincolarsi, l'uomo gridava al cavaliere: "Che ti ho fatto, nemico dell'umanità, per maltrattarmi così?".
Al calar della notte, finalmente, l'uomo, esausto, stramazzò a terra e vomitò le mele, l'acqua e il serpente. Quando vide ciò che era uscito dal suo corpo, capì quanto era accaduto e implorò il perdono del cavaliere.
Questa è la nostra condizione. Quando leggerete questo, non confondete la storia con l'allegoria, ne l'allegoria con la storia. Coloro che hanno ricevuto la conoscenza hanno in cambio delle responsabilità. Coloro che non l'hanno ricevuta non ne hanno, indipendentemente da quello che pensano.
L'uomo che era stato salvato disse al cavaliere: "Se mi avessi avvertito, avrei accettato di buon grado il tuo trattamento".
"Se ti avessi avvertito", rispose il cavaliere, "non mi avresti creduto, oppure saresti rimasto paralizzato dalla paura o saresti fuggito, oppure, ancora, ti saresti riaddormentato per cercare l'oblio. E non ci sarebbe stato più tempo".
Spronando il suo cavallo, il misterioso cavaliere si allontanò al galoppo.

(Salim Abdali)

martedì 19 luglio 2011

Il racconto delle sabbie

Nato da remote montagne, un fiume solcò molte regioni per raggiungere finalmente le sabbie del deserto. Provò a superare questo ostacolo così come aveva fatto con gli altri, ma si accorse che, man mano che scorreva nella sabbia, le sue acque sparivano.
Era convinto, tuttavia, che era suo destino attraversare quel deserto, eppure non ci riusciva ... Fu allora che una voce nascosta, proveniente dal deserto stesso, mormorò: "II vento attraversa il deserto; il fiume può fare altrettanto".
Il fiume obiettò che, sebbene si lanciasse contro la sabbia, l'unico risultato era di essere assorbito, mentre il vento poteva volare e, quindi, attraversare il deserto.
"Lanciandoti nel tuo solito modo, il deserto non ti permetterà di attraversarlo. Potrai solo sparire o diventare una palude. Devi permettere al vento di trasportarti fino a destinazione". "Ma com'è possibile?".
"Lasciandoti assorbire dal vento".
Era un'idea inaccettabile per il fiume. In fin dei conti, non era mai stato assorbito prima d'ora. Non voleva perdere la sua individualità: una volta persa, come essere sicuri di poterla ritrovare?
La sabbia rispose: "II vento svolge questa funzione: assorbe l'acqua, la trasporta al di sopra del deserto, poi la lascia ricadere. Cadendo sotto forma di pioggia, l'acqua ridiventa fiume".
"Come posso sapere che è la verità?".
"È così. Se non ci credi, potrai solo diventare una palude, e anche per questo ci vorranno anni e anni; e, comunque, non sarai più un fiume".
"Ma non posso rimanere lo stesso fiume?".
"In entrambi i casi non puoi rimanere lo stesso fiume", rispose il mormorio, "la parte essenziale di te viene portata via e forma di nuovo un fiume. Oggi porti questo nome perché non sai quale parte di te è quella essenziale".
Queste parole risvegliarono certi echi nella memoria del fiume. Si ricordò vagamente di uno stato in cui egli - o forse una parte di sé? - era stato tra le braccia del vento. Si ricordò anche - ma era veramente un ricordo? - che questa era la cosa giusta, e non necessariamente la cosa più ovvia, da fare. Allora il fiume innalzò i suoi vapori verso le braccia accoglienti del vento. Questi, dolcemente e senza sforzo, li sollevò e li portò lontano, lasciandoli ricadere delicatamente non appena raggiunsero la cima di una montagna molto, molto lontana. Ed è proprio perché aveva dubitato, che il fiume poté ricordare e imprimere con più forza nella sua mente i dettagli della sua esperienza. "Sì, ora conosco la mia vera identità", si disse. Il fiume stava imparando. Ma le sabbie mormoravano: "Noi sappiamo, perché lo vediamo accadere giorno dopo giorno e perché noi, le sabbie, ci estendiamo dal fiume alla montagna".
Ecco perché si dice che la via che permette al fiume della vita di proseguire il suo viaggio è scritta nelle sabbie.

(versione di Awad Afifi)

martedì 5 luglio 2011

I ciechi e l'elefante

Al di là di Ghor si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, un re arrivò da quelle parti, accompagnato dalla sua corte e da un intero esercito, e si accamparono nel deserto. Ora, questo monarca possedeva un possente elefante, che utilizzava sia in battaglia sia per accrescere la soggezione della gente.
Il popolo era ansioso di sapere come fosse l'elefante, e alcuni dei membri di quella comunità di ciechi si precipitarono all'impazzata alla sua scoperta.
Non conoscendo ne la forma ne i contorni dell'elefante, cominciarono a tastarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti.
Ognuno di loro credette di sapere qualcosa dell'elefante per averne toccato una parte.
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da avidi gruppi, tutti ansiosi, e a torto, di conoscere la verità per bocca di coloro che erano essi stessi in errore.
Posero domande sulla forma e l'apparenza dell'elefante, e ascoltarono tutto ciò che veniva detto loro al riguardo. Alla domanda sulla natura dell'elefante, colui che ne aveva toccato l'orecchio rispose: "Si tratta di una cosa grande, ruvida, larga e lunga, come un tappeto".
Colui che aveva toccato la proboscide disse: "So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo".
Colui che ne aveva toccato una zampa disse: "È possente e stabile come un pilastro".
Ognuno di loro aveva toccato una delle tante parti dell'elefante. La percezione di ognuno era errata. Nessuno lo conosceva nella sua totalità: la conoscenza non appartiene ai ciechi. Tutti immaginavano qualcosa, e l'immagine che ne avevano era sbagliata.
La creatura non sa nulla della divinità. Le vie dell'intelletto ordinario non sono la Via della scienza divina.

(Hamdun il Tintore)

lunedì 13 giugno 2011

Il mio cuore è ormai capace di qualunque forma

Il mio cuore è ormai capace di qualunque forma
chiostro per il monaco, tempio per gli idoli,
pascolo per le gazzelle, Ka'ba dei fedeli,
tavole della Thora, Corano.
L'amore è il credo che sostengo e ovunque giri
la sua cavalcatura l'Amore è sempre la mia religione e la mia fede.

(Ibn al- Arabi)

sabato 30 aprile 2011

Quando un uomo e una donna diventano uno

Ho coperto i miei occhi
con la polvere della tristezza,
finché entrambi furono un mare colmo di perle.
Tutte le lacrime che noi creature versiamo per lui
non sono lacrime,come pensano molti, ma perle.....
Mi lamento dell'anima con l'anima,
ma non per lamentrmi: dico solo le cose come stanno.
Il cuore mi dice che è angosciato per lui
ma io non posso che ridere di questi torti immaginari.
Sii giusta, tu che sei la gloria del giusto.
Tu, anima, libera dal "noi" e dall'"io",
spirito sottile in ogni uomo e donna.
Quando un uomo e una donna diventano uno,
quell'uno sei tu.
E quando quell'uno è cancellato, tu sei.
Dove sono questo "noi" e questo "io"?
A lato dell'amato.
Tu hai fatto questo "noi" e questo "io"
perché tu potessi giocare
al gioco del corteggiamento con te stesso,
affinché tutti i "tu" e gli "io" diventino un'anima sola
e infine anneghino nell'amato.
Tutto ciò è vero. Vieni!
Tu che sei la parola creatrice: Sii.
Tu, al di là di qualunque descrizione.
E' possibile per l'occhio fisico vederti?
Può il pensiero comprendere il tuo riso o la tua pena?
Dimmi, è possibile vederti?
Soltanto di cose in prestito vive questo cuore.
Il giardino d'amore è infinitamente verde
e dà molti frutti oltre alla gioia e al dolore.
L'amore è al di là di entrambe le condizioni.
Senza primavera, senza autunno, è sempre nuovo.


(Jalal al-Din Rumi)

domenica 24 aprile 2011

Resurrezione

Guardami, ché tu sarai compagno mio nel sepolcro
in quella notte quando passerai oltre la tua casa, la tua bottega.

Udirai il mio saluto di benvenuto sotto la lapide, e allora saprai
che mai tu fosti nascosto al mio sguardo.

Io sono come la ragione e la mente dentro il tuo petto,
nel tempo di piaceri e di gioie, nel tempo di pene e dolori.

O strana notte, quando udirai la voce ben nota,
e ti libererai dal morso del serpe, fuggirai dall'orrore della formica!

L'ebbrezza d'amore ti porterà nel sepolcro, qual dono,
vino, fanciulle, ceri, arrosto, dolciumi ed incensi. 

In quel momento, quando la lampada della Ragione s'accende,
quale immensa pena si leverà dai morti nelle tombe!

La terra del cimitero sarà confusa dalle loro grida e clamori,
dal rombo del tamburo della Resurrezione, dal fasto della Rinascita!

Strappati i sudari, si tappano le orecchie pieni d'orrore;
ma che sono orecchie e cervello di fronte allo squillo della Tromba terribile?

Attento ai tuoi occhi, a non commettere errori,
che una sola ti sembri l'essenza di chi guarda e di chi è riguardato.

Dovunque volgerai lo sguardo vedrai la Mia forma,
sia che tu guardi a te stesso, sia che rimiri quell'immenso tumulto!

Rinuncia a essere strabico, raddrizza bene gli occhi,
ché l'occhio maligno sarà lontano, allora, dalla mia Bellezza.

Attento a non ingannarti sulla mia forma umana,
che sottile molto è lo spirito, e l'amore molto è geloso!

Ma che parlo di forma? Anche coperto da cento pieghe di feltro
i raggi dello specchio dell'anima fanno manifesto l'universo.

Se invece di cibo e denaro avesser cercato Iddio,
non vedresti un sol cieco seduto sull'orlo del fosso.

Poiché hai aperto nella nostra città una bottega di sguardi amorosi
chiudi la bocca e soltanto guarda, come purissima Luce!

Io taccio e nascondo il segreto a coloro che degni non sono.
Tu solo sei degno: il mistero per me è celato.

Vieni verso l'Oriente come il Sole di Tabriz
guarda lo stendardo trionfale, il fasto della Vittoria! 


(Jalal al Din Rumi)

martedì 12 aprile 2011

Il segreto dei segreti

Il Sufismo o Tasawwuf è la forma di ricerca mistica tipica della cultura islamica.

In arabo la parola "tasawwuf"  è composta da quattro consonanti : T, S, W, F, che significano:

La prima lettera T stà per tawba, ovvero "pentimento", che è il primo passo sulla Via.
E' come se si trattasse di un doppio passo, uno esteriore ed uno interiore: l'esteriore consiste nel pentimento relativo alle parole, agli atti ed ai sentimenti, mantenendo la propria vita scevra di peccati e di atti illeciti, perseguendo l'obbedienza, rifuggendo rivolta ed opposizione per cercare accordo ed armonia. Il passo interiore del pentimento è un atto del cuore consistente nel purificarlo dai desideri per le cose di questo mondo e nella sua completa dedizione al Divino.

Il secondo grado è lo stato di gioia e purezza, safà ed è simboleggiato dalla lettera S.
Anche in questo grado vi sono due passi da fare: il primo verso la purezza del cuore, il secondo verso il suo centro nascosto. La purezza del cuore (safà al-qalb) proviene da un cuore che si è liberato dall'ansia provocata dal peso delle preoccupazioni mondane per il cibo, per il bere, per il dormire, per i vani discorsi. Il modo per liberare il cuore e purificarlo è quello del ricordo (dhikr) di Allàh.

La terza lettera W, stà per la parola walàya, che è lo stato di santità degli amanti di Allàh e dipende dalla purezza interiore. Allàh menziona i Suoi amici (awliyà) nel Sacro Corano:
"Invero sugli amici di Allàh non vi è timore nè essi sono rattristati.", "Per costoro vi sono delle buone novelle in questo mondo e nell'altro." (Cor. 10 - 62,64).
L'effetto visibile di tale stato è l'essere abbellito con i più bei tratti del carattere, con le virtù ed i buoni costumi; si tratta dell'elargizione di un dono divino. Il Profeta (s.a.s.) ha detto: "Caratterizzatevi con i tratti divini".

La quarta lettera F, stà per fanà, l'estinzione dell'io, lo stato di annientamento in Allàh, ovvero a tutto ciò che non è Allàh. Quando gli attributi della natura umana si estinguono ed il falso io svanisce assieme alla molteplicità degli attributi e delle forme di questo mondo, allora non sussistono più che gli Attributi dell'Unità (sifàt al-ahadiyya).
Questa è la stazione dei Profeti e dei Santi, gli amici di Allàh, situata nel dominio della Natura divina (làhùt).


Quando l'esistenza contingente è unita all'esistenza eterna, non può essere più concepita come un'esistenza separata; quando tutti i legami terreni sono abbandonati e si è in unione con Allàh, con la Realtà divina, si riceve una eterna purezza, non si può più essere biasimati e si diventa uno dei "compagni del giardino, dove dimorano per sempre" (Cor.VII, 42), "coloro che credono ed operano rettamente" (ibid.).

Tuttavia "Noi (Allàh) non poniamo alcun peso sull'anima che essa non possa sopportare " (ibid).

L'uomo deve soltanto possedere una instancabile pazienza. "Ed Allàh è con coloro che con pazienza perseverano" (Cor. VIII,66).


(Dal "Il segreto dei segreti"- Sirr al-asràr- di 'Abd al-Qàdir al-Jìlàn)

La storia dei due mondi

Nel corso della loro vita da nomadi, Harith il Beduino e sua moglie Nafìsa erano soliti piantare la loro logora tenda dove potevano trovare qualche palma da dattero, qualche ramoscello rinsecchito per il loro cammello, o uno stagno di acqua salmastra.
Erano anni che facevano questa vita e ogni giorno Harith compiva gli stessi gesti: con la trappola prendeva i topi del deserto per via della loro pelle, e con le fibre di palma intrecciava corde che vendeva alle carovane di passaggio.
Un giorno, tuttavia, una nuova sorgente sgorgò dalle sabbie del deserto. Harith si portò l'acqua alle labbra e gli sembrò l'acqua del paradiso. Quell'acqua, che noi avremmo trovato terribilmente salata, era infatti molto meno torbida di quella che era abituato a bere. "Devo assolutamente farla assaggiare a qualcuno che sappia apprezzarla", si disse Harith.
Si incamminò quindi sulla strada per la città di Bagdad e per il palazzo di Harun El-Rashid, fermandosi solo per sgranocchiare qualche dattero. Portava con sé due otri pieni d'acqua: uno per sé e l'altro per il califfo.
Alcuni giorni dopo raggiunse Bagdad e andò direttamente a palazzo. Le guardie ascoltarono la sua storia e, non potendo fare altrimenti - era questa l'usanza - lo ammisero all'udienza pubblica tenuta dal califfo.
"Comandante dei credenti", disse Harith, "sono un povero beduino e conosco tutte le acque del deserto, benché sappia ben poco di altre cose. Ho appena scoperto quest'Acqua del Paradiso e ho subito pensato di portarvela perché, in verità, è un regalo degno di voi".
Harun il Sincero assaggiò l'acqua e, dato che capiva i suoi sudditi, ordinò alle guardie di far accomodare il beduino e di trattenerlo finché non avrebbe fatto conoscere la sua decisione. Poi chiamò il capitano delle guardie e gli disse: "Ciò che per noi è niente, per lui è tutto. Al calar della notte conducetelo fuori dal palazzo. Non lasciate che veda il possente Tigri; scortatelo fino alla sua tenda senza permettergli mai di bere acqua dolce. Poi dategli mille monete d'oro con i miei ringraziamenti per i suoi servigi. Ditegli che lo nomino guardiano dell'Acqua del Paradiso e che dovrà offrirne da bere a mio nome a tutti i viaggiatori".

(Parabola sufi)

Il Cuore

Qualcuno si avvicinò a un pazzo che piangeva con grandissima amarezza e gli disse: "Perché piangi?". Il pazzo rispose: "Piango per attirare l'attenzione del Suo cuore". L'altro replicò: "Dici delle sciocchezze perch'Egli non ha un cuore fisico" Il pazzo disse: "Sei tu che hai torto, perché Egli possiede tutti i cuori che esistono. Per mezzo del cuore si può entrare in contatto con Dio".

(Attar di Nishapur)